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Sono stati anni di entusiasmo e divertimento. Penso che esistano nella vita di tutti dei momenti (nodali, fondamentali per la formazione della propria identità umana e culturale. E, come bolognese, quel periodo della città è l'unico che salvo. Non per nulla quando finì decisi di partire. [...] Oggi vivo a Milano, ma qui non ho avuto esperienze che possano essere minimamente comparabili con quelle vissute a Bologna fra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta. Milano ha avuto per me delle valenze completamente diverse. Qui sono cresciuta professionalmente, ho potuto "vendere" la mia creatività, mentre a Bologna ho trascorso un momento di libertà espressiva e di condivisione molto forte, che non si è più ripetuto. [...] Bologna è peraltro una città che ha nel suo DNA il gusto dell'incontro e dell'interscambio. Forse perché da sempre è caratterizzata da attività commerciali e università, ha fatto della strada un luogo dove sostare, trattare, discutere, scambiare opinioni. I portici poi, che caratterizzano la fisionomia del centro città, hanno certamente favorito quel tipo di attitudine. Infatti, anche se piove o è freddo, ti senti sempre più riparata che altrove e le permanenze all'aperto non sembrano mai costituire un problema. Negli anni in questione, per conoscere o incontrare qualcuno bastava quindi stare per strada, camminare fra Via Clavature e Piazza Maggiore... andare verso Piazza Verdi o al bar "Pierino"... Non sono mai stata un soggetto politicamente attivo, il mio rapporto con persone e situazioni è stato più che altro di scambio culturale, estetico. Una comunicazione di pensieri e progetti, una condivisione particolarmente ricca di idee, di sollecitazioni e di stimoli. Si trattava comunque di un momento particolarmente prolifico, artistico nato a ridosso, come conseguenza degli anni politici. Fatto di nuovi modi di stare insieme, comunicare e creare attenzione. Fui catapultata in quel particolare clima di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti. Vivevo già da sola e cominciai a notare che una quantità di perfetti sconosciuti piombava a casa mia insieme con amici e conoscenti. L'energia nell'aria era pazzesca, c'era la volontà di scambiare ed acquisire informazioni da qualunque parte arrivassero. Bastava avere le orecchie aperte per essere a conoscenza di progetti che ti potevano interessare e coinvolgere. [...] La prima volta che partii per New York fui spinta dalla curiosità di conoscere un nuovo mondo. Andare e tornare divenne poi una consuetudine, finché alla fine degli anni Ottanta non venni chiamata ad affiancare il nuovo direttore del mensile Interview e rimasi a vivere lì per qualche anno. La prima volta che andai fu comunque nel '77. Anche altri bolognesi della mia generazione cominciarono a visitare New York in quegli anni. E molto velocemente nacque un interscambio con scrittori, artisti, musicisti e registi americani che cominciarono ad arrivare anche a Bologna. Il dialogo che si era creato era particolarmente intenso, molte erano le affinità di pensiero e d'immaginari. A Bologna s'inaugurarono mostre, si organizzarono concerti e nacquero altri progetti dove non era difficile coinvolgere artisti americani. Jean Michel Basquiat, che con il nome Samo fece la sua primissima mostra nella galleria di Emilio Mazzoli a Modena, passava la maggior parte del suo tempo a casa mia. Ebbi altri ospiti in casa per lunghi periodi, artisti, performer, musicisti o critici d'arte come Kenny Scharf o Ann Magnuson, Lydia Lunch e Diego Cortez. L'amico, oggi producer di Caetano Veloso, Arto Lindsay, decise di produrre il primo disco della band bolognese Hi-Fi Brothers. Questi ed altri creativi americani arrivavano in città e con noi partecipavano ad inaugurazioni di mostre e feste "off'. [...] Per vie diverse, Francesca Alinovi, Renato De Maria ed io siamo stati tra i responsabili di questo ponte che si creò tra New York e Bologna.
...Si poteva toccare con mano la bellezza dell’improvvisazione e del reinventarsi, esprimersi con linguaggi diversi giorno dopo giorno. La musica, la fotografia, il fumetto, la pittura ed altre forme d’arte andavano insieme con un preciso gusto per l’abbigliamento, letteralmente uno statement d’appartenenza culturale che si esprimeva attraverso precisi haircut e modi di vestire. |
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