SYUSY BLADY
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Gran Pavese Varietà
La forza del “Gran Pavese Varietà” era insita nella diversità. Diversità con elementi di assurdità e demenzialità. Tutti i numeri del “Gran Pavese” avevano sempre una “chiusura decente”, ma erano la trasposizione scientifica del fallimento su un palcoscenico.

[…] La politica non era presente, direttamente, nel “Gran Pavese”, però c’era nella sua trasgressione. Mettere in scena situazioni assurde significa destabilizzare lo spettatore e quindi avere un elemento politico insito in sé. Eravamo alternativi non nelle parole, ma nella forma. Eravamo alla ricerca della demenzialità, quella che c’era all’esterno del circolo, che noi ospitavamo semplicemente all’interno del “Pavese”. Mostravamo l’assurdità degli anni Ottanta. In quel momento si prendevano sul serio gli yuppie, l’economia e la Borsa. Se ci penso ora mi sembra pazzesco. C’era il modello occidentale come unico ed assoluto. L’unica risposta possibile, da parte di persone che avevano un senso critico, poteva essere solo quella di mostrare la demenzialità dei fatti, delle persone e delle forme.

 

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