LA FORESTA (INTRO PARTE 1)
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Oderso Rubini
Ho un ricordo molto preciso dell’11 Marzo. La sede del Conservatorio G.B.Martini di Bologna è in Piazza Rossini, lungo la Via Zamboni. Ero nell’aula del Corso di Musica Elettronica, che frequentavo dal ‘75, tentando di districarmi tra cavi, sintetizzatori e registratori in preparazione di un concerto del GEB (un gruppo di allievi del corso tra cui Carlo ‘Cialdo’ Capelli, Paolo Silvestri, Michele Bettinelli, Vladimiro Pellicciardi, Gianfranco Cabiddu, Massimo Sgargi) in quel di Faenza. Uscendo per una breve pausa fu chiaro che era successo qualcosa di grave: un silenzio irreale, l’inconfondibile odore dei lacrimogeni e, poco dopo, la notizia della morte di Francesco Lorusso. La tragicità di quell’evento, il senso di impotenza di fronte ad un atto così estremo, il bisogno di reagire ed esprimere a modo mio i sentimenti, trovarono risposta nella composizione di un brano intitolato “11 Marzo”. Un concerto del GEB era una cosa assai singolare: sintetizzatori ovviamente, percussioni, molti microfoni, ma soprattutto due registratori sistemati ai lati opposti del palco. Un nastro magnetico lo attraversava pericolosamente, scorrendo tra le due macchine: una registrava gli eventi sonori ripresi dai microfoni, e l’altra li riproduceva con un ritardo di circa 7 secondi, in funzione della distanza tra le due macchine, creando così degli strati sonori in continua evoluzione. Immaginate tutto questo all’interno della stagione musicale classica di un Teatro di provincia: la sala era stracolma, gli spettatori per lo più anziani con qualche presenza giovane; ci sentivamo quasi come i Futuristi ai tempi delle loro controverse esibizioni di inizio secolo. L’esecuzione di “11 Marzo” (7 minuti circa), avvenne nel buio più completo per favorire l’attenzione sul flusso sonoro e sulle immagini che lo accompagnavano: nella prima parte, completamente elettronica e realizzata con la tecnica della modulazione di frequenza di Chowning, venivano proiettati sullo schermo effetti luminosi astratti. Nella seconda parte, più evocativa (suoni di piatti riprodotti a velocità dimezzata per intenderci), agli effetti luminosi si sostituivano immagini in b&n del funerale di Francesco. La cosa per me sorprendente avvenne al temine, quando riaccese le luci, l’applauso non fu di semplice cortesia, ma lungo e particolarmente caloroso. Lì ho capito che per toccare il cuore delle persone, suscitandone emozioni forti, non necessariamente bisogna attingere ai luoghi comuni dell’ovvio e della retorica, e che la forza di qualcosa che vuoi comunicare non sta nel media o nel linguaggio che utilizzi, ma come lo utilizzi [...]dunque siamo a Bologna, e quelli sono per noi gli anni della giovinezza e delle passioni, dove tutto sembra possibile. Sono anni di una intensità devastante, dei mille interessi e delle continue scoperte, necessarie per appropriarsi della vita: uno strato sociale in movimento che cerca di organizzarsi in luoghi sottratti al dominio del mercato. Il concetto di lavoro garantito inizia a perdere significato, si prepara il passaggio dalla società industriale a quella dello spettacolo, ed esplode il consumo culturale di massa. Lì, a Bologna, in maniera del tutto naturale, si erano create nel corso degli anni, le condizioni per la nascita e lo sviluppo di quel grande laboratorio, creativo, culturale e politico che poi sarebbe stato identificato, per semplificazione, con il ‘77 e Radio Alice. La città, quasi ne avesse una naturale predisposizione cromosomica, aveva generato, essendone in qualche modo complice, un organismo nuovo, pieno di diversità e complessità, alimentato da mille piccoli e grandi rigagnoli, con un livello di socializzazione altissimo: il DAMS con i suoi 12.000 iscritti, il Conservatorio G.B. Martini (dove tra gli altri, erano stati avviati dal ‘75, due corsi unici in Italia: Musica Elettronica del M° Fugazza e Musica d’Uso del M° Ballotta), l’ Accademia di Belle Arti, Arte Fiera (a cui erano collegate le prime Settimane delle Performances), il Teatro Comunale (con la prima assoluta di Inori di K.H.Stockahusen del ‘76), le Feste Musicali (all’interno delle quali verrà realizzato “Il treno di John Cage” nel ‘78), il Festival del Jazz (che avava fatto di Bologna la città del Jazz per eccellenza), praticamente tutti i concerti dei più affermati artisti stranieri che venivano in Italia, la produzione della prima opera Rock Italiana (“Giulio Cesare”, rappresentata giusto nell’Aprile del ‘77), A/traverso, gli Istituti Secondari di formazione artistica, Humpty Dumpty, Radio Alice, Radio Città, Camera, Il Teatro delle Moline, le ‘famose’ osterie di Bologna, i cantautori, le decine di gruppi che iniziavano finalmente ad appropiarsi del rock, assordando principalmente le cantine, ecc, ecc [...] per dire che tutte le componenti che si sarebbero poi identificate nel ‘Movimento’ erano già lì: ognuna seguiva i propri percorsi ed i propri umori, incrociandosi talvolta distrattamente senza una precisa coscienza di sè, se non in alcune sue parti. La morte di Francesco, nella sua tragicità, paradossalmente offriva una straordinaria contropartita: il riconoscimento di sè e il valore di una funzione collettiva, il senso di appartenenza ad uno ‘strato sociale’ nuovo, l’ identificazione con un progetto ‘rivoluzionario’, la cui principale arma erano la creatività e il linguaggio. E se per alcuni il Convegno sulla repressione rappresenta la fine simbolica di ‘quel Movimento’, per tanti altri segna l’inizio di una vita diversa. Storie e percorsi che, intrisi di quello spirito, da lì affrontano la vita, provando a non farsela rubare.

 

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movimento
inviato da: slaught & frogs il:(07/02/2007 14:24:02)
il "movimento" è stata la cosa più antitetica al punk che potesse accadere,si è trattato soltanto di sdoganare alcuni simulacri culturali giovani-ribellistici anglosassoni a fini propagandistici-misero-elettoralcarrieristici da parte della sezione cabaret e guitti damms del pci

   
 
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