ANDREA TINTI (INTRO)
c
I miei ricordi di quel periodo sono pochi e nebulosi. Nel ’77 avevo dodici anni e frequentavo la seconda media inferiore. Il mondo della musica mi sfiorava, la politica non sapevo cosa fosse. Però nonostante la mia giovane età l’11 marzo mi è rimasto conficcato nel cervello. Quella mattina, come tutte le mattine, ero a scuola. Le “Irnerio” si trovavano e si trovano in via Finelli ed il mio percorso per tornare a casa era breve e sempre uguale. Imboccavo via del Borgo di San Pietro fino a via Irnerio ed infine salivo per via Mascarella, dove abitavo al numero 4. Quella mattina il Preside informò tutte le classi che non si poteva tornare a casa per motivi non ben specificati. Avrebbero informato loro le rispettive famiglie. Cominciò l’attesa. Finalmente arrivò, dopo qualche ora, l’ok per uscire. Feci di corsa via Del Borgo, poi imboccai via Irnerio, l’aria era bagnata, si sentivano grida, persone che correvano, automobili che sfrecciavano, giunto all’angolo con via Mascarella, sempre con passo spedito, mi diressi verso casa. La concitazione era altissima, c’erano poliziotti, carabinieri, curiosi, le serrande dei negozi erano state abbassate, l’aria era sempre più bagnata. L’atmosfera era del tutto surreale, c’erano persone che sbirciavano dietro a finestre chiuse, c’era chi lanciava anatemi, chi si disperava. Nel pomeriggio mia madre chiamò sua sorella, che abitava ed abita in via Ranzani, appena fuori le mura, a due chilometri in linea d’aria da via Mascarella. “Hanno ucciso uno studente questa mattina…quasi sotto casa. E’ stato l’inferno…”, la risposta fu disarmante: “Sei sicura? Qui in via Ranzani è tutto normale, abbiamo sentito qualche sirena, ma nulla di più”. Di colpo ti rendi conto che bastano due chilometri per cambiare il corso della storia, per modificare gli accadimenti, per trasformare un fatto di sangue nella normalità più assoluta. La cittadella universitaria era ormai un campo di battaglia. Il giorno dopo le “Irnerio” rimasero chiuse per motivi di ordine pubblico. Mio padre decise di andare a parcheggiare la nostra utilitaria, una gloriosa Fiat 127 di color verde scuro, al di fuori delle “mura”, mai decisione fu più azzeccata. Passarono poche ore che la Polizia fece l’ennesima carica, cominciarono i lanci di lacrimogeni ed uno di questi si infilò sotto una macchina parcheggiata al posto della nostra mitica 127, l’auto prese fuoco. Il giorno passò tra scontri e telefonate convulse. Si sparse la voce che gli studenti avevano assaltato un’armeria vicino al teatro Comunale. Mio zio che abitava ed abita in via Centrotrecento e prestava servizio come pompiere ausiliario in teatro, venne fermato, quella stessa sera, da una ronda armata di studenti che gli consigliò di tornare a casa. Il 13 marzo riaprii il portone di via Mascarella 4 e mi trovai, al posto dell’auto incendiata, un carro armato. L’esercito aveva ripreso il “possesso” del centro di Bologna. In settembre ci fu il Convegno del Movimento, c’erano giovani dappertutto, c’erano gli indiani metropolitani, Bologna sembrava un’altra città, era distante anni luce dal quel maledetto mese di marzo. Due anni dopo, incuriosito dalle onnipresenti scritte a pennarello che invadevano i portici, entrai per la prima volta nel negozio di dischi più famoso in città. Ne uscii con due album: “Inascoltabile” degli Skiantos e “Never Mind The Bollocks” dei Sex Pistols. Cominciai quindi a frequentare un negozio di vinile in via Marconi, un regno per tutti gli amanti del punk, della new wave e della scena italiana, si vociferava che il proprietario inviasse ogni settimana i suoi commessi a Londra per approvvigionarsi di dischi altrimenti irreperibili. Il mio edicolante cominciò a vendere la sua prima copia di “Popster”. Bologna era un vulcano in continua eruzione. Arrivò il secondo raduno Oi al Casalone di via San Donato […] Ero l’unico, a scuola o tra gli amici, che non ascoltava discomusic. Un “imbezel” come si dice a Bologna con una vena di affetto, ma anche di sana cattiveria. La musica divenne poi la mia passione. Andai a vedere i Bauhaus ed i Polyrock ad “Electra 1”, i Simple Minds al Palasport di Piazza Azzarita, gli U2 al Teatro Tenda, gli Ultravox, i Devo, gli Spandau Ballet che non giunsero a Bologna per problemi di coincidenze d’aereo mancate, ma lessi comunque, il giorno dopo, una bella recensione di un concerto che non ci fu. La mia collezione di dischi aumentava di giorno in giorno con la dannazione di mia sorella costretta a passare sopra strisce di lp che si snodavano in camera da letto. Furono degli anni indimenticabili, Bologna era viva, pulsava come un cuore sotto sforzo, poi tutto si è sgonfiato quasi di colpo. Da un giorno all’altro la città è tornata nella sua mediocrità. Bologna è un grande “paesone” di provincia che si atteggia a metropoli, ma fate attenzione, bastano due chilometri per cambiare il corso della storia.

 

Non ci sono commenti per questo capitolo

   
 
Capitolo:
Autore:
Email:
Titolo:
Testo:
Scrivi in modo esatto i caratteri che vedi riprodotti nell'immagine sottostante
Cambia Immagine
 
  N.B. I commenti saranno pubblicati entro 48 ore, dopo approvazione della redazione di Astroman.it